Il Colibrì, un film sulla resilienza.
- Angela Ganci
- 26 ott 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista, scrittrice.
Il Colibrì per la regia di Francesca Archibugi con Pierfrancesco Favino, Nanni Moretti, nei panni dello psichiatra Dante Carradori, e Berenice Bejo che interpreta Luisa Lattes, personaggio importantissimo nel libro, amore incompiuto di Favino.
Film di genere drammatico, uscito nelle sale cinematografiche il 14 ottobre 2022, film di apertura della 17esima Festa del Cinema di Roma, distribuito da 01 Distribution, in cima al box office nel primo weekend di proiezione.
Questi i tratti biografici del film tratto dal romanzo "Il Colibrì" dello scrittore fiorentino Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020, che ripercorre la vita di Marco Carrera, un Favino sfavillante quanto oscurante gli altri attori, secondo molta critica, medico e padre di famiglia, la cui esistenza scorre su binari apparentemente tranquilli, mentre in realtà si tratta di una vita irta di percorsi paralleli, coincidenze mancate, occasioni non colte e strade non prese. Ecco sinteticamente le vicende: la moglie Marina tradisce il marito compulsivamente e nel contempo lo accusa di intrattenere una relazione con Luisa Lattes, una donna italofrancese conosciuta al mare in gioventù, con cui Marco intrattiene una relazione intensa, seppur prevalentemente platonica. In effetti da sempre Marco intrattiene con Luisa un rapporto mai consumato, di quelli che la realtà non può contaminare, ma che alimentano un desiderio ostinato, una passione segreta. Completano il quadro familiare la figlia di Marco e Marina, Adele, con il suo "filo pericoloso e invisibile su cui inciampano tutti, e che ha solo lei", diagnosticata con un disturbo ossessivo-allucinatorio, il fratello di Marco, Giacomo, "troppo basso per i suoi anni", il ricordo della sorella Irene morta a soli ventiquattro anni, che vediamo urlare a squarciagola contro una famiglia che non sembra comprenderla, e due genitori eternamente conflittuali, ma incapaci di vivere separati. In mezzo a loro Marco vive e si comporta come il colibrì: sbatte forsennatamente le ali per rimanere fermo nello stesso posto, come dirà a lui la stessa Luisa su uno scenario frastagliato di rocce e schiume, mentre intorno il mondo e i rapporti inevitabilmente cambiano. Il film si avvale di un cast ben nutrito e va sottolineata l'abilità filmica della regista, in particolare nella misura in cui tutti i bambini in scena riescono a essere naturali e credibili, data l'abilità della regista di lasciare cinematograficamente liberi i minori in scena.
I punti di forza del film risultano, secondo la critica, probabilmente la combinazione del successo del romanzo di Veronesi e del suo protagonista cinematografico Pierfrancesco Favino, interprete di Marco Carrera, chiamato sin da bambino “il colibrì”.
Il Colibrì, un film che punta molto sul concetto di resilienza, infatti Marco, con la sua strenua resistenza, è capace di rimanere fermo e di non farsi trascinare dalla corrente. Nel film, attraverso salti temporali, si concentra il tema della ricerca della felicità, con la metafora del volo del colibrì che, con il suo battito di ali veloce, resta sospeso in aria sfiorando i petali, senza mai appoggiarsi.
Nel caso della metafora utilizzata da Veronesi, il protagonista, nonostante i numerosi drammi, riesce a parare i colpi della vita, rimanendo ancorato alla speranza.
Ciò che può sembrare insostenibile, come il dolore più profondo, viene, infatti, compensato dalle gioie della vita, che a volte si trovano nelle piccole cose, negli oggetti, negli affetti. Questo per quanto concerne il significato profondo di un film sulla voglia di farcela, sennonché Archibugi nella sua interpretazione del romanzo coglie solo a tratti questa poetica, concentrandosi principalmente piuttosto sui dialoghi urlati, sulla malinconia e sullo struggimento del protagonista e sulle scenografie che sono, anche in questo film, un elemento caratterizzante dello stile della regista.
Il Colibrì è un film che ha creato, tra il pubblico, grandi aspettative, anche solo per l’ottimo cast, capitanato da un Pierfrancesco Favino che in questa occasione dimostra la sua professionalità. Archibugi confeziona un film che dovrebbe essere corale, ma che in realtà celebra esclusivamente la figura del protagonista, in modo quasi cannibalici, in un susseguirsi di salti temporali talmente veloci che in alcuni punti sembrano sconnessi tra di loro. Berenice Bejo, che interpreta il vero amore del protagonista, quello ideale e profondo, deve fronteggiare un personaggio poco strutturato, mentre il focus principale è sempre su relazioni urlate e melodrammatiche, che rischiano di rendere il film troppo presenzialista. Sicuramente un adattamento non facile quello del romanzo di Sandro Veronesi, ma che questo film non rende appieno proprio perché tende ad esasperare i sentimenti, come il senso di colpa per la morte di Irene gettato su Giacomo, in una colluttazione furiosa tra i due fratelli, o il tormento per un amore complicato, poiché "non deve farsi male nessuno", lasciando poco spazio alla poesia.
Marco Carrera, un uomo per tutti “buono” ma in fin dei conti mediocre, incapace di accettare le svolte della vita e ancorato a un immobilismo del tutto privo di fondamento, esclusivamente abitudinario, per un' interpretazione assolutizzante di Pierfrancesco Favino, che "arriva a far suo in modo così forte questo Marco Carrera da cannibalizzare il film, mangiando pezzo per pezzo tutti i suoi colleghi in scena, in particolar modo quell’universo femminile che nel romanzo fungeva da contrappunto, e che qui appare quasi solo di contorno, impossibilitato a trovare scampo nel dominio di Favino" (per maggiori approfondimenti si consulti il link https://quinlan.it/2022/10/13/il-colibri/).
Il Colibri, in definitiva, come storia della forza ancestrale della vita, della strenua lotta di ciascuno di noi per resistere a ciò che talvolta sembra insostenibile, utilizzando le potenti armi dell'illusione, della felicità, dell'allegria.
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