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Chi ti purtaru li morti?

  • Immagine del redattore: Rosanna Badalamenti
    Rosanna Badalamenti
  • 26 ott 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Di Rosanna Badalamenti


Quando ero piccola aspettavo con ansia la festa dei morti.

"Ora vennu i morti - diceva mia nonna - e ti portano a pupa di zuccaru. "

I pupi di zucchero sono delle statuette cave realizzate interamente con lo zucchero. Riproducono i paladini siciliani o figure generiche maschili o femminili . Ancora oggi ci sono. Non hanno perso la loro bellezza ma non regalano più la stessa l'emozione di un tempo, quando non avevamo nulla e il poco diventava tanto perché ci insegnavano a saperlo apprezzare.

I morti erano per noi bambini di quegli anni, come Babbo Natale per i bambini di oggi. Non sapevamo da dove esattamente venissero ma non ne avevamo paura e li aspettavamo con ansia, anche perché non ricevevamo regali "ad ogni scrusciu di tammurinu."

Io una volta, spinta dalla curiosità di vederli e conoscerli, volli dormire a casa della nonna. Lo facevo spesso, ma quella volta il mio intento era di stare sveglia tutta la notte, fare finta di dormire e coglierli in flagrante. Ovviamente non è che feci finta di dormire... caddi in un sonno profondo, come era mio solito, e non ne capii lo stesso nulla. Non sentii nemmeno il solito bacetto che ogni mattina la nonna mi dava, passando dal mio lettino. Un passaggio inevitabile.

La nonna doveva passare da lì infatti per andare nel soggiorno al piano di sopra, dove la sera prima, sotto gli occhi di tutti aveva preparato " li cannistri " cesti di vimini. Un cesto per ogni nipote che quel giorno sarebbe passato a ritirare i doni dei morti. I cesti non è che potevamo portarli a casa "Dove, altrimenti,i morti avrebbero messo i doni

l' anno successivo?" Diceva la nonna.

Nei cesti trovavamo noci, castagne, mandorle, caramelle, qualche paio di calzini e la pupa di zucchero. Alcune volte anche la frutta martorana, preparata con la pasta di mandorle. Non erano grandi cose ma eravamo felici, c' era

l ' entusiasmo della festa ed è un peccato che gli odori si possano raccontare ma non si possano far sentire, perché io quell' odore ancora lo sento , è un odore che sa di dolce amore, di stupore. Un odore di zucchero, di meravigliose sensazioni, di cose veramente preziose, di valori autentici, di affetti reali, l' odore di casa dei nonni fatto di camicie pulite rammendate e stirate, di grembiuli vecchi per stare a casa, di un unico paio di scarpe per uscire, di due abitini " unu leva e unu metti". Un odore di cose belle, odore di un tempo dove niente si buttava, persino il sacchetto di plastica della pasta veniva conservato e utilizzato come contenitore per gli alimenti solidi. Niente andava perso, a cominciare dal rispetto per le persone, per le cose, per le tradizioni.

"A pupa di zuccaru", mia nonna la chiamava così, altri al maschile e altri, come mio nonno, "u pupu cu l' anchi torti", era il simbolo della festa, il cavallo di battaglia, e l'avevamo tutti di forma e dimensione diversa. Io, una volta , mi sentii la più fortunata, avevo trovato il cavaliere sopra il cavallo e dicevo a tutti di guardarlo ma era sempre la nonna a sembrare la più stupita di tutti. Lei che magistralmente aveva preparato ogni cosa nel silenzio della notte, si mostrava meravigliata e ci chiedeva " Chi vi purtaru li morti?"

E noi, ingenuamente, le mostravamo tutto. "Talia bonu, sutta li castagni c'è n'atra cosa..." (Guarda bene, sotto le castagne c'è qualcos'altro....)

" Vero, nonna ci sono un paio di calzini rosa. Che belli che sono!"

E dopo aver mangiato caramelle, cominciavo a rompere la pupa, però attenzione, mangiavo, e non tutta in un una volta, solo la parte retrostante , quella bianca . La parte colorata, che descriveva chi o cosa rappresentasse la pupa, la mettevo in vetrina davanti ad un bicchiere che serviva d'appoggio. E molte volte rimaneva lì perché era un peccato romperla. I pupi ri zuccaru delle mie sorelle restavano, spesso, intatti fino all'anno successivo e poi venivano sostituiti dai nuovi arrivati dai colori più vivi e dalle forme differenti. La nonna, è chiaro, sapeva poi come riutilizzare lo zucchero delle vecchie statuette.

"Nonna i morti passeranno ancora da qui l'anno prossimo?"

"Pensa solo a ora. All'anno prossimo ci pensa Dio."

Nella stessa giornata, spesso con i pupi in mano, erano dentro delle buste trasparenti, andavamo a piedi al cimitero. Era come una sorta di processione, davanti ci stavano i nonni con i fiori in mano, c' erano sempre quelli vestiti interamente di nero, si portava così, in segno di rispetto, il lutto e in base alla parentela si portava per anni, poi gradatamente svisitavanu" cioè lo toglievano. Seguivano i figli, mia mamma aveva tante cugine e poi c'eravamo noi, i bambini in festa con i nostri pupi in mano. Entravamo al cimitero e andavamo a salutare i nostri morti. La nonna, portava un fazzoletto bianco dalle grandi dimensioni, o forse ero io piccola, lo allargava e puliva delicatamente la foto della sua mamma posta sulla lapide, foto in bianco e nero, lo faceva con amore così tanto che credevo che l'immagine fosse viva e che le stesse accarezzando il viso, poi piegato il fazzoletto e riposto nella coffa che poggiava per terra , faceva il segno della croce, baciava la sua mano destra e ancora più delicatamente semmai fosse stato possibile, toccava la foto, un movimento continuo, un gesto uguale, ripetitivo dove la sua mano diventava veicolo comunicativo d'amore speciale tra lei e la sua mamma.

"Saluta a nonna"

Poi mi diceva. Io cercavo di copiare, cercavo di imitare tutto quello che aveva fatto lei, facevo il segno della croce toccavo la foto mi baciavo la mano, ritoccavo la foto ma io ero bambina e non conoscevo ancora il dolore della perdita delle persone care e la mia era una carezza diversa. A turno lo facevamo tutti. Dopo la nonna, la sorella e i fratelli della nonna sistemavano i fiori dentro i vasetti e infine si spostavano per portare un fiore a tutti gli altri che riposavano lì, parenti e amici.

Prima di andare mi rivolgevo alla bisnonna e le dicevo :

"Ciao nonna, grazie, mi hai portato belle cose."

Io pensavo abitasse lì, perché era lì che l' avevo conosciuta. L' ho creduto per tanto tempo.

Il cimitero, il 2 novembre, era vivo. Le voci degli adulti, il bisbiglio delle preghiere, i sorrisi ingenui e spensierati dei bambini con i pupi di zuccaru tutti colorati in mano, l'odore dei fiori, il passo veloce degli uomini alle fontanelle, l ' affresco della Madonna che si riempiva interamente di fiori, i ceroni accesi che il sole nascondeva, il cielo come tetto, la terra come casa. Così lo ricordo il giorno dei morti.





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